Anche in ambito italiano permane la confusione semantica concernente il termine “postmoderno” ed una mancata unanimità nei tentativi di periodizzazione del fenomeno. Umberto Eco, nelle Postille (1983) a Il nome della Rosa, mette in discussione l’esistenza di un paradigma della postmodernità, considerandolo piuttosto come una controtendenza della letteratura, ravvisabile in ogni momento storico. Sono ivi enucleati i caratteri distintivi del postmoderno, che Eco interpreta come “categorie dello spirito”, Kunstwollen, piuttosto che come “tendenza circoscrivibile cronologicamente”.
Un forte contributo alle teorie postmoderne è venuto inoltre da Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti che nel 1983 hanno introdotto il concetto di “pensiero debole”, un pensiero, caratteristico dell’età postmoderna, che procede per tentativi, dominato com’è dal senso precarietà, e che è teso verso le “piccole narrazioni” senza pretese di completezza ed immutabilità.
Un ulteriore aspetto del paradigma postmoderno è il suo essere un dibattito aperto e corale, un dato, non meramente esteriore, già rilevato da Remo Ceserani, autore della più completa ed articolata sintesi italiana del postmodernismo, Raccontare il postmoderno (1997). La forma del dibattito infatti ben si attaglia alla costruzione di un pensiero che, proponendosi un perenne rinnovamento degli orizzonti gnoseologici in virtù della problematizzazione delle forme e delle modalità del sapere tradizionale, è per sua natura riluttante ad accettare visioni universalistiche e definitive.

Vanità, mosaico di Carlo Signorini su disegno di Mimmo Paladino, 1988, Collezione Mosaici Moderni, Ravenna (Di Sailko – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=51565137)
Secondo Margherita Ganeri, autrice del saggio Postmodernismo (1998), il culmine del dibattito incentrato sul pensiero postmoderno si può collocare nel ventennio che intercorre tra il 1980 e la fine degli anni Novanta. A tal proposito una riflessione la studiosa calabrese ha posto l’accento sulla – presunta – conclusione della prolifica discussione intorno al postmodernismo allorché venne alle stampe il summenzionato contributo di Ceserani contenente una illuminante periodizzazione del fenomeno del postmoderno in senso internazionale. Nell’ultimo capitolo, tra l’altro, egli indica se stesso come uno dei fautori del dibattito critico-letterario, al fine di piegare la reticenza di buona parte degli intellettuali italiani nei confronti dell’irrazionalità e dell’astoricismo postmoderni. Tali posizioni derivavano prevalentemente da un orientamento ideologico improntato al neomarxismo: filosofi come Theodor Adorno e Jürgen Habermas, della Scuola di Francoforte, opponevano uno strenuo scetticismo al paradigma postmoderno, incentivato dalla conclusione che tutta la produzione artistica ad esso afferente sia creata in funzione meramente estetica ed edonistica.
Similmente a Ceserani, anche Romano Luperini (La fine del postmoderno, 2005), professore di Letteratura italiana all’Università di Siena, individua intorno alla fine del millennio un mutamento epocale, una fase di attuazione ultima del postmoderno. I segni più evidenti di demarcazione che annunciano una svolta sono da ricercare, secondo lo studioso, nella Guerra del Golfo, nel crollo del muro di Berlino e, soprattutto, nel crollo delle Torri Gemelle di New York, quando al “leggero” nichilismo, al pensiero debole e alla pastiche del postmoderno si è andata sostituendo una “controtendenza neomodernista”. Anche la raccolta di saggi intitolata Tirature ’04, l’annuario curato da Vittorio Spinazzola, che pure riconosce al postmodernismo il merito di aver aperto la letteratura ad una pluralità di forme letterarie, suggerisce, con il titolo Che fine ha fatto il postmoderno?, che il fenomeno è ormai in fase di declino e privato della sua primigenia spinta innovatrice. Questo, dunque, a grandi linee, il quadro storico-critico del postmoderno a partire dalle sue prime manifestazioni statunitensi fino alle espressioni più mature in territorio nazionale.

In Italia il fenomeno del postmoderno comincia ad espandersi solo intorno alla metà degli anni Settanta quando i due paradigmi che avevano dominato la sfera della narrativa per circa un ventennio, quello del romanzo medio “di qualità” e quello del romanzo sperimentale, perdono vigore. Il primo, così appellato da Gian Carlo Ferretti, identifica le opere caratterizzate da un’ambientazione provinciale, un soggetto famigliare vagamente corale, un piglio malinconico ed un certo lirismo. Si tratta per lo più di una tipologia narrativa che trovava i suoi più eminenti scrittori in Bassani, Cassola, Pratolini e Arpino e che vennero icasticamente definiti da Edoardo Sanguineti – nel contesto di quello che sarebbe passato alla storia come Gruppo ’63 – come “Liale della Letteratura”. Sebbene lo sperimentalismo si identificasse primariamente con le proposte letterarie del gruppo che ruotava attorno alla rivista Officina, il termine è passato ad indicare più genericamente le tendenze caratterizzanti le narrazioni di ricerca tra la seconda metà degli anni Cinquanta e gli anni Settanta, che stentano però ad entrare a pieno titolo nei circuiti letterari, dominati da logiche più massificate. Intorno alla fine degli anni Settanta, per via di una mutazione del pubblico – che diventa via via più colto per effetto della scolarizzazione di massa – e finanche del mercato editoriale, il romanzo medio di qualità non soddisfa più. La decade successiva si dispiegano dinamiche politiche, sociali, economiche e culturali che si configurano come un periodo di profonda frattura rispetto al passato: si tratta di un decennio che non ha raccolto l’eredità delle aspirazioni rivoluzionarie del ’68-’77, che ha visto al contempo la proliferazione di atteggiamenti e aspirazioni veicolati da un massiccio consumo di televisione. Tale retorica della crisi che ragiona sulle traiettorie storiche in senso degenerativo contribuisce a connotare l’epoca postmoderna, coincidente con l’entrata del contesto storico-culturale nazionale in una fase di “riflusso”, in maniera fortemente negativa. In realtà la produzione letteraria, filosofica e artistica degli ultimi trenta o quarant’anni è ricca di esempi di istanze innovative e di riflessione critica scaturite dalle categorie epistemologiche ed estetiche del postmoderno.

Come abbiamo visto, la fenomenologia del postmoderno è ben più complessa di quanto possa apparire proprio perché espressione di un’epoca dominata dall’informatizzazione, dall’immagine e dal consumo di massa, refrattaria alla “pesantezza” dell’impegno e dell’avanguardia. Secondo Gillo Dorfles (Ultime tendenze nell’arte d’oggi, 1990) nell’avvento del postmoderno sarebbe da intravedere il tentativo di opporsi all’evidente cristallizzazione del funzionalismo modernista mediante il recupero revivalistico di forme più libere ed “ingenue”.
Umberto Eco, che può, a ragione, essere annoverato tra i più importanti animatori del dibattito sul postmodernismo in Italia, con la pubblicazione del saggio Apocalittici e Integrati del 1964, intese aprire il dossier sulla teoria della cultura di massa proponendo una formula d’opposizione tra gli apocalittici, gli uomini di cultura che, opponendosi alla “volgarità della folla”, scorgono in essa un processo di degenerazione irreversibile, e gli integrati, che considerano i mass media come nuove e democratiche forme di divulgazione del sapere.
Quale incidenza ebbero la massificazione e l’informatizzazione della società nella dimensione dei linguaggi letterari è mirabilmente spiegato da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane (1988): egli, nel raccontare la sua operazione letteraria come una “sottrazione di peso alla fisicità del reale”, identifica questa seconda rivoluzione industriale “con i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma di impulsi elettronici”. Calvino, che per molti versi può essere considerato precursore e ideologo dei linguaggi narrativi degli anni Ottanta, fornisce ivi una delle possibili chiavi di lettura del relativismo e del “riuso” postmoderni: “Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”. Nella dimensione più propriamente narrativa ciò si traduce in un rinnovato interesse per la storia (che viene indagata in forme inusitate, ben diverse rispetto al romanzo storico tradizionale), per le biografie individuali, le ricerche d’archivio e la molteplicità dei linguaggi, delle prospettive e dei modelli comportamentali. Inoltre se il postmodernismo da un lato viene contaminato, inevitabilmente, dai modelli consumistici ed estetizzanti propri della società di massa, dall’altro la cultura “popolare” si appropria di paradigmi culturali di elevato valore estetico, fino ad allora esclusivo appannaggio elitario. (continua…)
